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Consigli per la gestione di situazioni aggressive

2021-06-10 15:27

Federica Gandini, Psicologa e Psicoterapeuta

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Consigli per la gestione di situazioni aggressive

Tra assertività e controllo della respirazione

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Ecco un "vademecum" pensato per le partecipanti al corso InDifesa, organizzato dall'associazione Lei.

 

Si tratta di una serie di suggerimenti pensati per gestire al meglio eventuali situazioni aggressive in cui potreste essere coinvolte:

 

Descalation

Considerate che la maggior parte delle aggressioni avviene in seguito ad un percorso di ESCALATION verbale e fisica che vede protagonisti due o più soggetti, per cui ad un insulto si risponderà con uno spintone, ad uno spintone, con uno schiaffo, ad uno schiaffo con un pugno, ad un pugno con il coltello, fino ad una conclusione determinata solamente dalla capacità e dalla volontà di offendere dei contendenti.La premessa è che, ogni tentativo di DE-ESCALATION può essere fatto solo in quelle situazioni in cui il “combattimento” non è iniziato o non è imminente.


Per dissuadere l'altro dal nuocerci e per evitare l'escalation della violenza è importante trasmettere due messaggi:

- Far capire all’altro di non volere attaccare né offendere e quindi non essere aggressivi: altrimenti si rispondebbe in modo aggressivo ad un comportamento aggressivo, innalzando automaticamente il livello dello scontro

- Far capire all’altro di essere comunque pronti a reagire quindi non essere passivi o arrendevoli, perché l comportamento remissivo favorisce gli intenti aggressivi dell’altro.


Oltre a ciò è importante:

- Preservare una DISTANZA FISICA INTERPERSONALE di almeno un metro, un metro e mezzo che consenta di interagire in sicurezza (regola ben nota già prima della pandemia!). Ciò che ci deve far preoccupare è il tentativo dell’altro di ridurre questa distanza, nonostante i nostri tentativi di mantenerla. Spesso questo avviene attraverso una sorta di “intervista” verbale che utilizza un pretesto (l’ora, le indicazioni, ecc.) per costringere la mente della vittima ad elaborare una risposta e ridurre la distanza fisica, ponendosi in una posizione favorevole per poter colpire in maniera improvvisa.

 

- Azioni indispensabili:

non insultare,

non alzare la voce,

non giudicare e non umiliare l’altro,

non intimare,

non chiedere scusa (a meno che voi siate in evidente torto)

non rispondere alle provocazioni,

non essere arrendevole,

non insistere sulle tue ragioni,

non sfuggire lo sguardo, ma evita lo sguardo fisso, di sfida,

non dimostrare imbarazzo o timidezza

 

- Utilizzare quindi di un comportamento assertivo:

Usare un tono di voce pacato e uniforme (non accelerare e non alzare il volume della voce),

Usare i gesti in modo aperto e mai eccessivo,

Cercare di adottare un’espressione del viso attenta ma non accigliata,

Usare un contatto visivo diretto ma non inquisitorio,

Curare la postura in modo da esprimere solidità ed energia (no braccia a penzoloni o dietro la schiena),

Pensare positivamente.


Agisci e pensa in modo da trovare una via di uscita onorevole per te e per l’altro.
Per quanto il comportamento assertivo sia da preferire, non è detto che sia sempre e comunque il più idoneo. Ogni situazione è unica e irripetibile e la capacità di improvvisare rappresenta sempre e comunque la nostra risorsa più preziosa.

 

Chiedere aiuto

Se siamo in una situazione accertata come pericolosa e vediamo delle persone vicino o lontano a noi, non limitiamoci a chiamare “AIUTO!” ma investiamo una persona in particolare della responsabilità di correre in soccorso. Questo perché alla fine degli anni 60 accadde un episodio che sconvolse un sobborgo di New York e fu poi uno stimolo per studiare certe dinamiche sociali. Accadde che una mattina presto una donna, tornando dal lavoro, fu aggredita, pugnalata e morì in strada dopo mezz’ora, nonostante l’aggressione avvenne sotto un palazzo abitato e nonostante la donna gridasse aiuto. Le indagini accertarono che almeno 38 persone sentirono le urla o assistettero a parte della scena. Nessuno chiamò i soccorsi. Questo fu l’effetto di un particolare fenomeno sociale chiamato “diffusione della responsabilità” per cui esiste una riduzione del senso di responsabilità a prestare aiuto quando sono presenti alla stessa situazione altri potenziali soccorritori.

 

 

Controllare la respirazione

Quando ero bambina si faceva un gioco “stupido” e pauroso … ma spesso i bambini vanno alla ricerca delle sensazioni di paura: metterle in atto rappresenta un modo per inscenarle, quasi per esorcizzarle. E così i bambini più grandi si nascondevano in vari punti delle cantine del mio condominio, che erano un una specie di labirinto, ed il malcapitato, solitamente i bambini più piccoli, dovevano attraversarle e subire gli agguati dei “mostri” nascosti. Solitamente accadeva che i bimbi attraversassero la cantina di corsa, col cuore in gola, in preda ad una vera e propria sensazione di panico.

Io prendevo per mano mio fratellino più piccolo e gli dicevo di respirare piano e di non correre, ma di attraversare la cantina camminando, respirando piano e con calma … il semplice calmare il respiro e controllare il tono muscolare, l’interrompere la reazione di fuga, trasformava quel gioco in qualcosa di divertente, quantomeno di più gestibile, e non più in qualcosa di terribilmente spaventoso (c’erano bambini che si facevano pipì addosso ed io non volevo che succedesse anche a mio fratellino). Ora, indubbiamente io lo facevo in maniera inconsapevole, il mio cervello si era “ingegnato” in maniera istintiva.

 

-Aggiungo qui una piccola curiosità: sapete perché il mio cervello si era così ingegnato? Perché dovevo “proteggere” il mio fratellino. Lo sapete che il cervello delle madri -o comunque di chi si deve prendere cura di un individuo che percepisce come più debole- cambia? Ci sono esperimenti (vedi Ammaniti) che dimostrano come i neuroni del cervello delle madre diventino più grandi e che se alcune topoline-cavie vengono messe in un labirinto, le prime a trovare la soluzione per uscire sono priprio le topoline gravide, le quali hanno come un cervello “amplificato”, che deve pensare al benessere di due persone e non più solo di una.

 

In questo caso cosa si osserva? Che il cercare di controllare delle reazioni fisiologiche, che nella fattispecie erano quelle relative alla risposta di fuga, riuscivano a fare mantenere una certa capacità di controllo sulla situazione.


Tra le varie cose che è efficace tenere monitorato c’era la RESPIRAZIONE.
Fattore che sembrerà banale, ma in realtà importantissimo. Abbiamo visto prima che tra i vari effetti dell’adrenalina sul corpo si osserva anche un’alterazione della respirazione. Che si può avere in 2 modi:

 

Respirazione accelerata o affannosa: l’organismo mette in atto la risposta di attacco/fuga, quindi il cuore batte più forte, il sangue viene spinto nei muscoli degli arti per sostenere la reazione “attiva” ed i polmoni accelerano per sopperire all’aumentato fabbisogno di ossigeno. Una reazione di questo tipo può portare a conseguenze quali iperventilazione e, in casi estremi, allo svenimento.


Respirazione irregolare o interrotta: alcune persone, di fronte al pericolo, tendono a trattenere il respiro, e questo è ancora una volta in linea con il percorso evolutivo: il cervello arcaico mette in moto il meccanismo di difesa primitivo per cui trattenere il respiro è funzionale al fingersi morto/mimetizzarsi/nascondersi/stare immobili. Questo tipo di reazione è chiaramente disfunzionale, ci fa restare in apnea, riduce l’apporto di ossigeno ed in casi estremi porta allo svenimento, alla perdita dei senso o ad eccessiva rigidità muscolare.Queste modalità di respirazione entrano in gioco in maniera involontaria, sollecitate dall’adrenalina, impattano negativamente sulla capacità di autocontrollo, di coordinazione e sul Sistema Nervoso in generale (la respirazione infatti è correlata ed in grado di REGOLARE il nostro SN), MA POSSONO ESSERE CONTROLLATE.

 

Quindi, se è vero che il nostro Sistema Nervoso può influenzare la nostra respirazione, è altrettanto vero che esercitare un controllo cosciente sulla nostra respirazione può influenzare il nostro SN e quindi il rendimento psicofisico.

 

Entrambi i tipi di respirazione disfunzionali sono caratterizzati dell’essere centrati nel petto (l’apnea trattiene il respiro ingrandendo il petto, l’affanno è caratterizzato da evidenti e frequenti movimenti di questa zona del torace). L’esercizio da fare è quello fatto nella prima parte del nostro incontro: portare il respiro nella pancia.

Il respiro nella pancia è in grado di calmarci psicologicamente, di diminuire notevolmente la frequenza cardiaca, di diminuire la sudorazione. Il respiro nella pancia è tipico del meccanismo n° 3, del sistema vagale mielinizzato, attivo durante gli stati di quiete e di interazione sociale, quindi portare il respiro nella pancia permette di disattivare i meccanismi di difesa arcaici e disadattivi promuovendo l’intervento del sistema più evoluto, che ha a che fare con l’autocontrollo e la consapevolezza.

È importante quindi respirare con la pancia evitando i grandi respiri di petto tipici di coloro che hanno paura/terrore o di chi ha fatto un grande sforzo; inspirare profondamente cercando quasi di spingere lo stomaco verso il basso, fare una piccola pausa, e poi espirare lentamente (solitamente l’espirazione dovrebbe durare più dell’inspirazione). Tenendo una mano sul petto ed una sulla pancia, quella sul petto dovrebbe rimanere piuttosto ferma e quella sulla pancia invece muorsi.

 

È possibile esercitare questa pratica, magari inizialmente a casa in tranquillità, facendo 12 respiri profondi di pancia prima di dormire. E poi anche in tutte quelle situazioni di panico o paura che affrontiamo nella vita quotidiana.

 

Anche qui aggiungo un piccolo aneddoto: ho provato ad esempio questo metodo durante l’arrampicata. Situazione tipo: ho paura dell’altezza, entro in panico, la respirazione diventa più veloce ed affannosa. Riconosco i sintomi, agisco un controllo sul pensiero, mi calmo grazie alla respirazione, mi riapproprio dell’autocontrollo.

Si tratta di un metodo antistress e antipanico rapido ed efficace: non avevo molto tempo per pensare, dovevo agire in fretta per muovermi e procedere.

 

 

Riconoscere i "sintomi della paura"

Come spiegato nel precedente articolo, saper riconoscere i segnali dell'adrenalina (occhi sbarrati, movimenti rapidi degli occhi, respirazione alterata, ecc), che colpiscono non solo aggredito, ma anche l'aggreossore, aumenta la sensazione di padronanza di noi stessi e permette di riconoscere in tempo l’imminenza di un attacco, per poter predisporre una reazione efficace.