"Mi sento in colpa, forse ho contagiato io mio padre"
“Mi sembra di essere stata attenta, ma forse non abbastanza. E' stata colpa mia"
"Potrei avere contagiato persone più fragili di me. Mi sento responsabile, mi sento in colpa”
Quanti dei "positivi" si sono trovati alle prese con questi dolorosi pensieri?
Vi riconoscete in questi meccanismi?
Molti studi dimostrano come, tra gli effetti psicologici della pandemia, emerga ormai in modo evidente il SENSO DI COLPA.
Questo accade perchè l'essere umano è intimamente legato alla sua comunità, dipende dall'altro per la sua salute emotiva, psicologiva e fisica.
Vivere in branco è sempre stato per l'uomo un elemento naturale e fondamentale. E' un animale sociale, e nel corso della sua storia evolutiva ha sviluppato una sempre maggiore tendenza all’affiliazione, cioè a prendersi cura degli altri. L’affiliazione ha un significato evolutivo, è legata alla sopravvivenza della comunità.
Ecco perchè misure di distanziamento sociale così rigide e prolungate sono motivo di sofferenza (Certo, molti di voi potrebbero ribattere: "Ah, io sto benissimo così!", ma l'aumento di ansia e depressione su scala mondiale parla molto chiaro).
Ed ecco perchè può emergere un sentimento di responsabilità in caso di diagnosi di positività durante la pandemia: ci si sente responsabiliti per la propria comunità, soprattutto se si diventa veicolo di contagio per la propria comunità più ristretta: familiari, colleghi, amici, persone che rientrano nel proprio ambito di affetti.
Questo accade perchè connaturato alla stessa natura umana e accade soprattutto a personalità altruistiche con spiccati tratti relazionali.
Durante la mia esperienza clinica come psicoterapeuta, però, posso affermare di aver visto in questi mesi comportamenti molto differenti tra loro, con esiti piuttosto curiosi:
ho parlato con persone attente e prudenti, che hanno contratto il virus e ancora oggi non sanno spiegarsi dove possano aver contratto il virus, nonostante attente analisi del loro comportamento.
Ho parlato con persone invece poco prudenti, al limite del negazionismo e del complottismo, che non sempre utilizzano in maniera responsabile i dispositivi di sicurezza che il virus non lo hanno mai contratto, anche se di possibili occasioni ne potrebbero elencare diverse.
Ovviamente il senso di colpa caratterizza maggiormente il primo tipo di persone.
Sicuramente non esisterà una sola risposta a tali questioni così complesse. Esistono ancora molte domande.
Mi interrogo ad esempio sul ruolo giocato dal sistema immunitario e dalla paura (vi invito a per un approfondimento ti invito a leggere qui), dal ruolo giocato dall'informazione. Mi interrogo sul perchè, ora che l'emergenza psicologica sembra essere sotto gli occhi di tutti, non vengano invitati psicologi accanto ai virologi.
L'unica cosa che mi sento di aggiungere, in un momento così complesso, è questa: facciamo appello al nostro senso di appartenenza e di affiliazione in modo positivo. Proteggiamoci, proteggiamo chi abbiamo vicino. Stiamo al caldo, prendiamoci cura di noi e cerchiamo di aiutare la piccola comunità che ci sta intorno: i nostri familiari, i nostri vicini di casa. Pensiamo bene e non esageriamo con i notiziari.
Lasciamo andare il senso di colpa: stiamo tutti facendo del nostro meglio.