Oggi vorrei raccontarvi una storia, la storia di Marco Cavallo.«Il mio nome è MARCO, di professione "cavallo da tiro tuttofare". Devo compire ancora i 18 anni e, pertanto, non mi sento affatto vecchio.»
E invece vecchio fu ritenuto. Vecchio e pronto per la macellazione.La provincia di Trieste, che anni prima lo aveva "assunto" presso l’Ospedale Psichiatrico come cavallo da tiro, emanò un decreto, che ne decideva la sua prossima destinazione al mattatoio e la sua sostituzione con un motocarro elevatore.Ma a quei matti dell’Ospedale triestino (allora diretto da Franco Basaglia) questa faccenda proprio non andò giù. Nel giugno del ’72 i pazienti scrissero una lettera all’allora Presidente della provincia, nella quale richiesero il meritato pensionamento dell’animale, in virtù dell’ impegno lavorativo dimostrato e dell’affetto che, sia i ricoverati che il personale ospedaliero, nutrivano per Marco.La lettera fu scritta in prima persona, come se fosse il cavallo stesso a parlare: «Devo senz’altro ammettere che l’animale meccanico chiamato a sostituirmi, fornirà prestazioni indubbiamente superiori alle mie. La prego rispettosamente però, di voler esaminare serenamente e con tutta obbiettività il mio "curriculum".
Presto onorato servizio alle dipendenze dell’ Amministrazione Provinciale dal 1959 (oltre 13 anni). Il mio lavoro, consistente nel trasporto di biancheria, rifiuti cucina e quanto altro richiestomi, è stato da me svolto sempre con massimo zelo, tutti i giorni, sia con il gelo e sia sotto il solleone.
Mi auguro che Lei si renda conto delle conseguenze, per me purtroppo ferali, che detta vendita comporta.
Ho ricevuto, infatti, già diverse visite da parte di gente che odorava fortemente di mattatoio, palpeggiandomi a dovere. Al proposito, mi permetto suggerirLe di recarsi ad un qualsiasi macello ed assistere all’uccisione di un mio simile. Ciò potrebbe risultarLe oltremodo istruttivo (...)»Quei matti si offrirono inoltre di versare alla provincia la cifra che sarebbe stata ricavata dalla vendita dell’animale, e di provvedere al suo sostentamento "vita natural durante".Il 30 ottobre del 1972 la richiesta venne accolta. La gioia fu immensa, e la sorpresa indescrivibile: allora i malati psichiatrici erano privati dei diritti civili, venivano reclusi e denegati dalla società. Questa apertura verso la richiesta avanzata dai pazienti da parte delle istituzioni venne intrepretata come un primo spiraglio verso il riconoscimento della loro dignità personale.L’evento ebbe una grande eco nel cuore dei pazienti, e nel laboratorio d’arte del manicomio fu presto deciso di "dare forma" a quanto accaduto: venne realizzato un enorme cavallo di legno e carta pesta, di colore azzurro, come il cielo e la loro voglia di vita vera e libertà. Un moderno cavallo di troia, nella cui pancia non venne nascosto nessun soldato, bensì vennero idealmente risposti i desideri e i sogni dei matti.Questa monumentale opera, presto battezzata "Marco Cavallo", sarebbe stata esposta in un’esibizione nel marzo del ’73. Ma Marco, simbolo perfetto della condizione intrinseca dei detenuti in manicomio, dovette affrontare un’ultima grande sfida prima di correre libero per le strade della città.L’opera, costruita all’interno dei laboratori artistici dell’Ospedale, era così grande da non poter passare da nessuna delle porte della struttura. Il cuore dei pazienti si sentì presto frustrato: fu così evidente il paragone tra la paradossale situazione di Marco Cavallo e la loro forzata clausura da lasciarli senza speranza.Dopo una lunga notte di animate discussioni "ai piani alti", venne presa una decisione: il giorno seguente Marco Cavallo venne lanciato contro una porta a vetri, sfondandola, abbattendo i muri e le barriere, quelle reali e quelle ideali, e venne trainato da un centinaio di pazienti, per le strade di Trieste. Il "cavallo pazzo" fu libero di correre, e da allora non ha ancora smesso: viene invitato in tutto il mondo, un’installazione itinerante alla scopo di sensibilizzare i cittadini e le istituzioni rispetto alla salute mentale. Ad oggi le patologie mentali, come l’ansia e la depressione, sono considerate tra le malattie più diffuse del nostro tempo, seconde solo alle malattie cardiovascolari. Si pensi, anche molto concretamente, al costo che la cura di queste malattie comporta al Sistema Sanitario Nazionale. Si pensi a quanto poco ancora si considerino come vere e proprie malattie. Si pensi a quanti pochi interventi di prevenzione vengano messi in atto a tal proposito.Ecco, questa è la storia di Marco Cavallo, simbolo azzurro dell’umanità nascosta, isolata e emarginata. Simbolo della riconquista e dell’invasione di queste cellule ammattite nelle arterie della città.
Federica Gandini, Psicologa e Psicoterapeuta