Qualche anno fa, guardando uno spettacolo teatrale vennicolpita da una riflessione.La protagonista, una giovanedonna straniera, diceva alla sua amica di avere voglia di mangiare "...Massì daiquel tipo di pasta che..." "Gli spaghetti?" "No, no!" "Le tagliatelle, o itagliolini?" NO "Allora maccheroni. O i rigatoni. I malfatti, gli strozzapreti.Le trofie!" NO. "Le fettuccine? I bucatini o i capelli d’angelo? I pici. Ifusilli. I vermicelli!" NO. "Allora le bavette, le linguine, le orecchiette! Ole mafalde? Le farfalle! Gli strozzapreti. I cavatelli. I maltagliati. Ipaccheri, gli ziti..." "MA QUANTI TIPI DI PASTAAVETE?"Ma perché, chiedeva, avetecosì tanti modi e così precisi, per chiamare la pasta... ma non esiste nemmenouno modo per chiamare, ad esempio, una mamma che perde il suo bambino? E se unamamma perde un bimbo che non è ancora nato? Come la chiamo quella cosa lì? Se un bambino perde igenitori viene chiamato orfano. Ma se li perde a 20 anni, è sempre un orfano? Ea 40? E se perde solo la mamma, o solo il papà, come lo chiamo?Quando un marito perde unamoglie, lo chiamo vedovo. E se un uomo perde la sua compagna di vita, allaquale non era sposato, rimane vedovo? O come rimane? E se un fratello perde lasua sorellina? Questa breve scena mi avevafatto riflettere sul fatto che nella nostra lingua abbiamo davvero un milionedi modi per chiamare la pasta... e poi ci sono cose a cui non riusciamo nemmeno adare un nome. Traumi talmente grandi che non si riescono a nominare.Il trauma è l’indicibile, ilnon raccontabile. La mente non riesce nemmeno a rappresentare qualcosa che perlei è intollerabile e non si riesce a dare un nome alle emozioni che si provano. Quello che vorrei esprimereè un profondo rispetto verso queste difese della mente. E tanta comprensioneverso tutte quelle persone che hanno subito un trauma e non trovano le paroleper esprimersi. È difficile. E a volte l’elaborazione non passa per forza attraverso laparola. Ma magari attraverso un immagine, una musica, una metafora... a volte sichiede aiuto alle arti creative, in particolare l’arte-terapia, che spessoriescono a schiudere con delicatezza un’emozione, attraverso canali diversi daquello verbale. Perché a volte, davvero, le parole per esprimerci non esistono.