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Psicologia dell'aggredito

2021-05-18 15:02

Federica Gandini, Psicologa e Psicoterapeuta

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Psicologia dell'aggredito

Sento spesso parlare dell’importanza di conoscere la psicologia dell’aggressore. Molto importante, e forse trascurato, è conoscere la PSICOLOGIA DELL’

Sento spesso parlare dell’importanza di conoscere la psicologia dell’aggressore. Molto importante, e forse trascurato, è conoscere la PSICOLOGIA DELL’AGGREDITO. Cioè conoscere noi stessi. Nel momento dell’aggressione.

 

Il non conoscere le proprie reazioni in un contesto di stress emotivo rappresenta in effetti un gravissimo problema, che può compromettere l’esito di un “combattimento”: a cosa serve conoscere la più efficace tecnica di autodifesa, il profilo dell’aggressore, e così via, se al momento in cui dovremmo reagire ci troviamo paralizzati, indecisi, spiazzati?

Una cosa è affrontare un’aggressione simulata nel contesto sicuro e protetto della palestra, altra è affrontare un uomo indurito dalla strada, un aggressore in un contesto non controllato.

 

È quindi fondamentale capire come reagisce il nostro organismo in situazioni di stress emotivo.

 

Cominciamo col cercare di capire, seppur in maniera schematica, come funziona il nostro cervello:

Il cervello, utilizzando un paragone di tipo “informatico”, dispone di svariati programmi, detti “script”.  Ognuno di essi serve per far fronte ad una situazione diversa: ci sono programmi per guidare l’auto, per salire le scale, per cucire un bottone … Il cervello adotta una serie di procedure “precaricate”, in grado di attivare le giuste sequenze motorie e/o cognitive in grado di far fronte a quella precisa situazione.

Cosa succede però se il nostro cervello percepisce di essere in una situazione per la quale non dispone un programma? L’essere aggrediti sicuramente non è una situazione abituale per noi. Sebbene se ne senta parlare molto spesso in tv, a pochi, o magari a nessuno di noi è mai accaduto. Di fatto non è una situazione con la quale ci fronteggiamo ogni giorno. Non siamo più uomini primitivi, quando episodi di aggressione da parte di predatori più forti e pericolosi era una situazione usuale.

Questi programmi, oltretutto, funzionano attraverso la LEGGI DI FACILITAZIONE: le reti neurali sviluppano legami che con il tempo si rafforzano: più due reticoli neurali si accendono insieme, più il loro legame sarà stabile e si accenderanno insieme con maggiore frequenza e facilità. Pensiamo alle sequenze motorie messe in atto per guidare, all’inizio così faticose e macchinose… l’uso e l’esercizio ripetuto portano all’automatizzazione; tanto che ora non dobbiamo più pensare a ciò che dobbiamo fare, ma quando ci si siede in macchina, il cervello attiva in automatico le reti neurali coinvolte nella guida. “MACCHINA” attiva il programma “GUIDA”. Un altro esempio: pensiamo a quelle volte in cui ci si ritrova a percorrere la strada verso il lavoro, quando magari bisognava recarsi da un’amica o a fare la spesa: anche il quel caso il programma “guida” attiva il programma “strada per andare al lavoro”.

Questo è uno dei motivi per cui possedere un programma valido da attivare nel caso “aggressione” è assolutamente positivo, questo è uno dei motivi che rendono assolutamente prezioso ciò i vostri istruttori di autodifesa vi hanno insegnato. Perché di fronte all’attivazione dello script “aggressione” il vostro cervello potrà associare “reazione con tecniche di autodifesa”. E più la tecnica di autodifesa è “pura”, più è efficace (non sto a pensare a quale piede mettere davanti, ecc)

Cosa succede se di fronte a una situazione di pericolo il cervello non trova un programma idoneo a farvi fronte (e questo può accadere a chi non ha mai frequentato un corso di autodifesa) oppure laddove il cervello percepisca di essere in una situazione di ESTREMO pericolo?

Quando si trova in situazioni di difficoltà, il nostro organismo va a ripescare MECCANISMI FILOGENETICAMENTE ANTICHI. Cosa vuol dire? Va a prendere meccanismi che abbiamo ereditato da specie meno evolute di noi. Meccanismi di difesa che condividiamo con gli animali che occupano i posti più bassi della scala evolutiva. La mia professoressa di biologia diceva sempre “l’evoluzione non butta via niente”.

Il cervello quindi, di fronte alla percezione di una minaccia per la vita, va attingere ad un programma arcaico, che abbiamo ereditato dalle specie più primitive. Quindi appunto andiamo ad attingere a meccanismi più primitive/di base.

Secondo gli studiosi (McLean) il cervello umano conterrebbe 3 “stratificazioni evolutive”.

 

I tre cervelli:

1) quella più recente, la NEOCORTECCIA, è deputata alle attività più alte, complesse ed evolute (pensiero, ragionamento, ecc);

2) CERVELLO PALEOMAMMALIANO, che comprenderebbe il sistema limbico e quindi sarebbe deputato alla elaborazione delle emozioni e alla esplicitazione di funzioni quali la cura della prole, il gioco, l’insegnamento e così via (quindi funzioni che compaiono più tardi nella storia evolutiva, che compaiono con i mammiferi);

3) il “CERVELLO RETTILE”, deputato ai bisogni primari ed agli istinti di base (fame e nutrizione, sesso e riproduzione, lotta e mantenimento del territorio, ecc).

 

Chiaramente anche il Sistema Nervoso si è evoluto di conseguenza.

 

Le tre vie del Sistema Nervoso:

1) Il sottosistema più recente, esclusivo dei mammiferi, si chiama VIA VAGALE VENTRALE e corrisponde alla porzione di nervo vago mielinizzato del sistema parasimpatico che assicura il sistema di interazione sociale (espressione del viso, prosodia, vocalizzazione e ascolto). Questa via interviene in un ambiente percepito come sicuro, infatti inibisce l'influenza simpatica determinando uno stato di calma e basso dispendio metabolico (momentanea disattivazione dell'asse dello stress: ipotalamo – ipofisi – surrene).

Nel momento però in cui l’organismo percepisce un pericolo nell’ambiente (che può essere reale o immaginario), fa intervenire alcuni meccanismi più “primitivi”:

2) La VIA SIMPATICA ha una funzione attivante, predispone il corpo alle reazioni di evitamento attivo, quali i comportamenti di attacco o fuga (fight or flight), mediati da adrenalina e noradrenalina.Il sangue e l’ossigeno vengono diretti verso gli arti.

3) Il sottosistema più arcaico, presente nella maggior parte dei vertebrati, il VAGO NON MIELINIZZATO attua comportamenti di evitamento passivo, fino all’immobilizzazione. Sono meccanismi “eccessivamente arcaici”, che una volta risultavano funzionali (mimetismo/fingersi morti), ma che oggi possono risultare fatali in una situazione come quella di una subita aggressione (paralisi/contrattacco disperato).

 

L'ordine evolutivo in cui questi circuiti sono comparsi nei mammiferi rappresenta una gerarchia di risposta, per cui i circuiti neurali più recenti inibiscono quelli più arcaici, ma, in caso di fallimento delle funzioni più evolute intervengono le funzioni primitive normalmente inibite.

 

In altre parole:

quando tutto va bene e ci si sente al sicuro, sono attive le risposte più evolute. Quando si percepisce un pericolo, allora si innescano meccanismi più primitivi ed istintivi.

 

Se l'ambiente è percepito come sicuro allora l'intero organismo è regolato in modo da promuovere la “ristorazione” e lo scambio sociale (rallenta il battito cardiaco, inibisce il meccanismo attacco-fuga, interrompe la risposta allo stress dell'asse ipotalamo –ipofisi–surrene).
Se invece è percepito un pericolo, si attiva il sistema simpatico, facilitando le reazioni di evitamento attivo, in modo da attaccare o fuggire.
Quando il pericolo di vita è enorme, insormontabile e soverchiante, le reazioni di attacco o fuga non sono praticabili, e vengono attivate, tramite il sistema più arcaico (n°3) le reazioni di evitamento passivo (dissociazione e immobilità ipotonica) che hanno un significato adattivo in quanto di sottomissione o perché i predatori tendono a non infierire verso prede apparentemente morte.

 

Quindi cosa succede? Che in mancanza di alternative valide ed “evolute”, il nostro cervello attinge automaticamente a quei comportamenti più primitivi. Piuttosto che la non risposta, l’organismo rispristina le antiche soluzioni, che condividiamo appunto con gli strati più bassi della catena evolutiva.

 

Quindi il meccanismo è questo:

pericolo → ipotalamo → ipofisi → surreni → produzione di ADRENALINA e cortisolo.

 

Sotto l’effetto dell’ADRENALINA la persona in preda alla paura sperimenta una serie di sintomi percettivi, motori e cognitivi precisi:

 

-EFFETTO TUNNEL: le pupille si dilatano per far entrare più luce, la muscolatura intorno agli occhi si contrae per migliorare la messa a fuoco sulla minaccia. Il risultato è la perdita della visione periferica, e quindi si vede come in primo piano. Questo ha come conseguenza il fatto di una percezione maggiore dell’aggressore e perdita di vista di vie di fuga/soccorritori.

 

-DIMINUZIONE DELLA PERCEZIONE UDITIVA: il cervello arcaico è programmato per ridurre le funzioni non necessarie in una determinato momento, tra queste funzioni non necessarie l’evoluzione ci ha fatto rientrare l’udito, perché non indispensabile alla sopravvivenza immediata. Chi ha vissuto una situazione di pericolo riporta sensazioni di suoni ovattati, come sott’acqua o di voce che provengono da lontano.

 

- DIMINUZIONE DELLA SENSIBILITA’ DOLORIFICA: per cui nei momenti terribili le sensazione di dolore è assolutamente ridotta, a volte annullata, infatti sono numerosi i casi in cui alcune persone aggradite si accorgono solo successivamente di ferite o fratture riportate anche gravi.

 

- BLOCCO MENTALE: la capacità di ragionamento possono risultare limitate. Il tipico esempio è quello di non ricordarsi nulla il giorno dell’esame. Questo avviene anche perché entra in azione il “cervello rettile”, dominato appunto dall’adrenalina, a scapito del cervello frontale, sede delle funzioni intellettive tipiche delle specie più evolute.

 

- ERRATA PERCEZIONE DEL TEMPO: Il tempo e le distanze sembrano dilatarsi, ed è cosìche 10 minuti ci sembrano un ora. Alcuni lamentano interminabile ritardo dei soccorsi, quando in realtà è avvenuto in maniera tempestiva.

 

- TURBE NELLA CAPACITA’ MNEMONICA: nei casi di shock non è raro assistere a casi di amnesia relativa a singole sequenze o all’intero episodio.

 

- BOCCA SECCA

 

- VOCE STROZZATA E TESA che rileva la carica emotiva

 

- OCCHI SBARRATI

 

- PELLE D’OCA – PALLORE – SUDORAZIONE FREDDA

 

- TREMORI - RIGIDITA’ MUSCOLARE

 

- RESPIRAZIONE BREVE,FREQUENTE o ALTERATA per l’aumentato fabbisogno di ossigeno

 

- TACHICARDIE – ARITMIE

 

Dal punto di vista strettamente fisiologico si osservano una serie di manifestazioni la cui conoscenza è fondamentale, dalle quali neppure l’aggressore è immune.

 

Saper riconoscere questi segnali significa quindi:

Poter accorgersi dell’imminenza di un attacco (riconoscendo questi segnali nell'altro) e poter pensare ad una reazione efficace

Avere maggiore controllo e consapevolezza rispetto alle reazioni fisiologiche, talvolta disadattive, del proprio organismo.

 

Saper riconoscere tutto questo aumenta la sensazione di padronanza di noi stessi e permette di riconoscere in tempo l’imminenza di un attacco, per poter predisporre una reazione efficace.

Spesso il NON saper riconoscere i “sintomi” della paura crea le premesse per l’insuccesso.

Una persona che si trova in una situazione di pericolo… spesso PERDE LA PADRONANZA DI SE STESSA. Si ritrova in balia dell’effetto tunnel, della rigidità muscolare, dell’affanno respiratorio, di quella sensazione ovattata data dalla ridotta capacità uditiva, dal blocco mentale. La semplice conoscenza di questi sintomi è uno strumento utile per attenuarli nel momento del bisogno.

 

Come al solito esperienza e conoscenza tornano ad essere strumenti fondamentali nelle mani dell’uomo.

L’esperienza perché abbiamo detto che il programma più utilizzato è quello che entrerà in azione più facilmente e sempre più in maniera automatica. Se il cervello ha una valida strategia a cui ricorrere, probabilmente non dovrà “regredire” facendo ricorso a strategie primitive ed al cervello rettile.

La conoscenza perché rappresenta uno strumento di autocontrollo. Conoscere le proprie reazioni crea le basi per tornare a sentirsi padrone del proprio corpo e delle proprie reazioni.

 

 

Dott.ssa Federica Gandini